La resistenza
Tra la fine del secolo scorso e gli inizi del Novecento Milano divenne sede della maggior parte delle principali industrie del Paese e il più importante centro industriale, commerciale e finanziario nazionale. Fu la culla del fascio primigenio; il 23 marzo del 1919 Mussolini vi fondò in piazza San Sepolcro il movimento dei fasci di combattimento. Durante il ventennio la metropoli ambrosiana fu l’epicentro degli sforzi organizzativi dell’antifascismo, immancabilmente e ripetutamente frustrati dall’efficienza dell’Ovra (la Polizia segreta dell’Italia fascista dal 1930 al 1943). Il P.C.d’I. (Partito Comunista d’Italia) in particolare, nonostante le reiterate cadute dei centri interni più volte ricostituiti a Milano, riuscì con maggiore continuità a sviluppare la propria attività di propaganda e di proselitismo in direzione del proletariato industriale, tessendo una trama che, seppure lacerata dagli arresti ricorrenti, consentì comunque di mantenere un tenue collegamento con alcune delle maggiori fabbriche e con alcuni nuclei storici di Sesto San Giovanni e dell’hinterland.
L’antifascismo di alcuni settori minoritari del laicato cattolico più impegnato si espresse nell’attività propagandistica del movimento dei guelfi, diretto da Gioacchino Malavasi e Piero Malvestiti (nel 1944 segretario della Democrazia Cristiana per l’Alta Italia).
Partito Socialista Italiano e Movimento Giustizia e Libertà (la cui attività fu sempre condizionata dai deboli e precari rapporti con le masse) riuscirono, attraverso l’iniziativa di personalità come Rodolfo Morandi, Roberto Veratti, Lucio Luzzatto, Ernesto Rossi e altri ancora, a creare intese unitarie e, nel 1934, un Fronte Unico Antifascista cui parteciparono anche i comunisti, alcuni repubblicani e neoliberali.
LA RESISTENZA A MILANO
Diffusasi la notizia dell'armistizio, il 9 settembre 1943 i partiti antifascisti, costituitisi in Comitato di liberazione nazionale (CLN), lanciano la creazione di una Guardia nazionale popolare che, armata e inquadrata agli ordini di ufficiali dell'esercito, lo affianchi nella difesa di Milano. L'opposizione del comandante del presidio italiano, generale Ruggero, e lo scioglimento dei reparti al suo comando, causano lo sbandamento della truppa e del volontariato civile, spianando così la strada all'ingresso delle Waffen SS in città (11 settembre 1943). A Milano, la lotta contro l'occupazione tedesca e il risorto fascismo repubblicano è caratterizzata fin dagli inizi dal parallelo sviluppo della guerriglia, condotta dai Gruppi di azione patriottica (GAP), e delle lotte politico-rivendicative di fabbrica che sfociano nello sciopero generale del 13-18 dicembre 1943 e raggiungono il culmine con quello del 1 marzo 1944, inutilmente contrastati da arresti e dalla deportazione di centinaia di lavoratori nei lager.
Lo sviluppo della lotta evidenzia in breve tempo la centralità di Milano nella guerra di liberazione nazionale. La posizione geografica, la presenza in città dei principali organismi politici e militari clandestini, l'importanza del ruolo sempre più assunto nei rapporti avviati con gli alleati, con il CLN centrale di Roma e verso l'intero movimento resistenziale, inducono il CLN romano a conferire a quello milanese i poteri di governo straordinario del Nord (fine gennaio 1944). Nasce il Comitato di Liberazione nazionale dell'Alta Italia (CLNAI), e nel giugno 1944 anche il Comitato militare paritetico, creato dal CLN milanese nel settembre 1943 con il compito di suscitare, organizzare e alimentare la lotta armata, si trasforma nel Comando generale del Corpo volontari della libertà, l'organo unitario di coordinamento e direzione delle formazioni partigiane di diverso colore politico.
Stroncata dalla repressione poliziesca tra il febbraio e il maggio 1944, la guerriglia urbana riprende vigore con la riorganizzazione estiva dei GAP, mentre la combattività operaia trova un nuovo sbocco nella costituzione delle brigate SAP di fabbrica e di strada, conferendo così alla lotta armata, fino a quel momento ristretta ai GAP, i tratti di una lotta armata di massa.
Le speranze di una rapida conclusione del conflitto, suscitate dalla favorevole congiuntura politico-militare apertasi con la ripresa dell'offensiva alleata su tutti i fronti, la liberazione di Roma e la costituzione del governo Bonomi di unità nazionale, imprimono una accelerazione alla lotta. All'aggressività dei GAP e delle SAP si aggiunge ora quella delle squadre armate organizzate da azionisti, repubblicani e socialisti, mentre i liberali sono impegnati principalmente nella raccolta di informazioni militari e i cattolici nella tessitura di una preziosa rete assistenziale. Il 18 agosto 1944 nasce il Comando piazza di Milano del CVL, l'organismo paritetico di direzione della guerriglia a livello provinciale.
Con l'estate si moltiplicano nel tempo e sul territorio le azioni contro ufficiali e truppa nazifascisti, spie, torturatori, comandi, installazioni militari, linee di comunicazione e trasporti, ingenerando nel nemico uno stato di crescente insicurezza. In ogni pedone, in ogni ciclista si può nascondere l'insidia partigiana e i nazifascisti, paventando una imminente insurrezione popolare, cercano di isolare il movimento resistenziale ricorrendo a fucilazioni terroristiche, alcune delle quali eseguite anche per strada, come accade in piazzale Loreto (10 agosto 1944) e in via Tibaldi (28 agosto 1944).
La resistenza risponde creando nuove brigate SAP, intensificando le azioni e chiamando i lavoratori milanesi ad un nuovo sciopero generale (21 settembre 1944), i cui risultati sono tuttavia condizionati dagli effetti dell'escalation terroristica nazifascista che, di lì a poche settimane, trae nuovo vigore dall'arenarsi dell'offensiva angloamericana sulla linea gotica.
Comincia così il periodo più critico per il partigianato di montagna, sottoposto dal novembre 1944 al gennaio 1945 a una ondata incessante di sanguinosi rastrellamenti che ne mettono a dura prova le possibilità di sopravvivenza, mentre in città la popolazione è fiaccata dalla fame e dal freddo, e il drastico calo della produzione per mancanza di materie prime e combustibile svuota di ogni potere contrattuale le lotte di fabbrica. Un tentativo di sciopero generale contro una settimana di serrata padronale è duramente stroncato dalla polizia di sicurezza germanica che il 23 novembre 1944, alla sola Pirelli, arresta 183 operai, 167 dei quali saranno deportati.
Il movimento resistenziale urbano viene ora chiamato ad impegnarsi in una nuova fase di lotta, da un lato per colpire ancora più duramente il nemico costringendolo ad alleggerire la pressione sulle montagne, e dall'altro in aiuto alla popolazione nella campagna lanciata contro "il freddo, la fame e il terrore nazifascista". Al fianco dei GAP nelle azioni armate, le SAP sono ora chiamate ad impegnarsi anche in difesa dei bisogni più immediati della popolazione organizzandola e guidandola negli assalti ai vagoni di carbone o nel taglio delle piante nei viali alberati, intervenendo a sostegno delle agitazioni operaie per strappare generi alimentari, vestiario e combustibile a prezzi politici, proteggendo le manifestazioni organizzate dai Gruppi di difesa della donna per rivendicare razioni supplementari di latte per i bambini.
E' questo il periodo in cui la resistenza perde preziosi combattenti, quadri di rilievo e alcuni tra i più capaci dirigenti, fucilati, uccisi in imboscate per strada o, come accade sempre più spesso, prelevati nottetempo al loro domicilio e poi assassinati dai fascisti in zone periferiche. La ripresa del movimento partigiano comincia a profilarsi il 1 gennaio 1945 con una azione combinata in quattro cinema e giunge a compimento la sera del 26 febbraio con 20 attacchi portati simultaneamente contro altrettante sedi e caserme nazifasciste, senza perdere un solo uomo.
Con il marzo 1945 l'incremento dell'attività più propriamente militare è accompagnato da un parallelo e più sistematico intervento indirizzato alla difesa degli scioperi e alla propaganda nelle fabbriche, dove gli operai concorrono ad ingrossare le forze sappiste permettendo così la costituzione di nuove brigate. Dai primi di aprile agitazioni e scioperi si estendono a macchia d'olio. I nazifascisti non hanno più il controllo del territorio.
L'insurrezione milanese prende l'abbrivio il 24 aprile a Niguarda, accesa da uno scontro armato tra garibaldini e repubblichini. Milano non vivrà le drammatiche ore dell'insurrezione di Firenze, le autocolonne nazifasciste in ritirata da sud e da ovest verranno fermate - o si arresteranno - alla periferia. Mussolini e il suo seguito abbandoneranno la Prefettura nel tardo pomeriggio del 25 aprile puntando verso la Svizzera. I pochi nuclei di resistenza fascisti verranno facilmente sopraffatti e nel volgere di tre giorni la città sarà sotto il controllo partigiano. Gli unici combattimenti di una certa entità si registrano attorno alla Innocenti (Lambrate), alla fabbrica OM (zona Vigentina) e alla Breda (viale Sarca). Gli ultimi cecchini saranno snidati il 28 aprile, mentre gli ultimi capisaldi tedeschi cederanno le armi all'arrivo delle brigate partigiane provenienti dall'Oltrepo e dalla Valsesia, o degli americani.
Il pomeriggio del 28 aprile, in una piazza del Duomo gremita di folla, il leggendario comandante Cino Moscatelli e altri dirigenti partigiani tengono il primo libero comizio dopo più di vent'anni di dittatura.
Il 6 maggio 1945, precedute dai membri del Comando generale del CVL, alcune decine di migliaia di partigiani milanesi, della provincia e delle formazioni montane concludono la loro epopea sfilando per Milano fino in piazza del Cannone dove, davanti alle autorità militari alleate e ai rappresentanti civili dei nuovi poteri democratici, un plotone americano rende gli onori militari alla bandiera del CVL.
Secondo calcoli effettuati dal Comando piazza in epoca immediatamente postinsurrezionale - non riscontrabili con altra fonte e sicuramente inferiori al numero reale -, 515 partigiani sono caduti a Milano dal settembre 1943 alla liberazione, 541 sono risultati dispersi e 383 sono stati feriti. Manca a tutt'oggi il censimento dei caduti insurrezionali. Una stima incompleta, ricavata dai registri dell'obitorio, ne denuncia almeno settantacinque.
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